COP26 – Riflessioni dalla nostra delegazione
Un gruppo di sette persone ha partecipato (da remoto o di persona) alla delegazione SISC alla COP26, che si è tenuta le scorse due settimane a Glasgow: Paolo FAIOLA (Capo delegazione), Elena BIANCO, Lodovica CATTANI, Marinella DAVIDE, Mahmoud HASSAN, Rosaria Erika PILECI, Vladislav MALASHEVSKYY.
Di seguito i commenti a caldo e le riflessioni di alcuni di loro.
Paolo FAIOLA
Capo Delegazione, Esperto
Immaginiamo per un secondo, che la COP26 di Glasgow sia stato un viaggio fatto a bordo di due treni diversi per velocità e direzione. Sul treno più veloce, “quello del futuro”, alimentato da fonti energetiche rinnovabili, sono saliti quei paesi pronti ad accelerare nell’implementazione delle opportune azioni climatiche necessarie per ridurre le emissioni di GHG e raggiungere le emissioni zero entro il 2050; invece, sul treno più lento “quello del passato” alimentato ancora a carbone e/o diesel, sono saliti quei paesi che, nonostante “una piccola apertura verso un futuro più sano e sostenibile”, sono ancora restii nell’eliminare completamente l’uso del carbone per il soddisfacimento dei propri fabbisogni energetici e, di conseguenza, nell’accelerare il taglio netto delle emissioni di GHG e raggiungere le emissioni zero entro “metà secolo”.
Se si vuole restare ben al di sotto dei 2°C e/o entro 1.5°C entro il 2100, bisogna agire in maniera rapida e profonda, cosicché Paesi Sviluppati ed in Via di Sviluppo, possano viaggiare alla stessa velocità e seguendo una direzione unica, che porti alla protezione, alla conservazione ed al ripristino degli ecosistemi terrestri e marini.
Marinella DAVIDE
Ricercatrice
Ho percepito un’atmosfera vibrante anche partecipando virtualmente. Anche se non ha soddisfatto alcune aspettative, la COP26 ha ottenuto un’attenzione massiccia sulle priorità chiave del clima, costringendo i governi e le aziende ad annunciare azioni e partnership. È importante mantenere lo slancio e pianificare ulteriori progressi alla COP27.
Rosaria Erika PILECI
R&D Manager
Il mio personale punto di vista è ottimistico. Una sessione di negoziati non può risolvere il problema del cambiamento climatico e il cambiamento, che in questo caso è una transizione energetica, economica e sociale, non può avvenire in maniera netta e immediata. Tuttavia penso che siano stati raggiunti accordi importanti.
Primo tra tutti l’impegno a mantenere l’innalzamento della temperatura entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale (un passo avanti rispetto all’accordo di Parigi che fissava il tetto in 2 gradi centigradi). Si è preso atto dell’inconsistenza dei piani di riduzione delle emissioni presentati dalle Nazioni in relazione agli obiettivi di Parigi, e si è chiesto ai governi di rafforzare tali obiettivi entro la fine del prossimo anno, anziché ogni cinque anni. Per la prima volta in un documento finale delle COP si parla esplicitamente di necessità di ridurre gradualmente l’utilizzo del carbone.
Si è deliberato circa la necessità di raddoppiare i finanziamenti a favore dei Paesi in via di sviluppo da destinare all’adattamento rispetto al 2019 entro il 2025. Inoltre, per la prima volta, nella parte di copertura dell’accordo si è menzionato il cosiddetto “loss and damage”. Perdite e danni si riferiscono ai costi che alcuni paesi stanno già affrontando a causa del cambiamento climatico, e questi paesi hanno chiesto per anni un pagamento per aiutarli ad affrontarli.
I negoziatori hanno anche concluso un accordo che stabilisce regole per i mercati del carbonio, sbloccando potenzialmente trilioni di dollari per la protezione delle foreste, la costruzione di impianti di energia rinnovabile e altri progetti per combattere il cambiamento climatico.
Ci sono stati inoltre diversi e importanti accordi collaterali. Tra questi il “methane pledge”, iniziativa globale guidata da Stati Uniti e l’Unione Europea volta al taglio del metano. Circa 100 paesi hanno promesso di ridurre le emissioni di metano del 30% dai livelli del 2020 entro il 2030.
Questa COP è stata definita la fiera del greenwashing ed è stata ampiamente criticata per la presenza di aziende e innovatori. Invece, alcune delle aziende partecipanti hanno preso una serie di impegni volontari per l’eliminazione graduale di auto a benzina, decarbonizzazione dei viaggi aerei, protezione delle foreste e investimenti più sostenibili. Penso sia stato fondamentale associare alla COP dei negoziati, una COP parallela che avveniva nei padiglioni. In quella COP, gli innovatori, imprenditori e investitori, parlavano di soluzioni esistenti e implementabili a larga scala.
Invece di pensare solamente a quanta strada rimane da fare, preferisco pensare anche a quanta strada è stata fatta negli ultimi anni. Questo, insieme alla conoscenza delle soluzioni già disponibili, ci da l’energia necessaria per lavorare sull’innovazione tecnologica e affrontare questa lunga maratona!
Vladislav MALASHEVSKYY
Studente
In quanto ai negoziati, anche quest’anno ho seguito quelli sull’articolo 6, che è stato finalmente terminato. Ho partecipato attivamente alle attività di YOUNGO, e in particolare al working group Finance & Market. Abbiamo di fatto creato un sotto-WG incentrato sull’articolo 6, che è stato poi uno dei più attivi quest’anno.
Gli ultimi giorni della prima settimana e i primi della seconda sono stati principalmente utilizzati per seguire i negoziati e le plenarie sull’argomento, trovare contatti e approfondire il tema, elaborando anche una posizione come YOUNGO. A metà della seconda settimana i negoziati erano in una situazione a dir poco tragica: i meccanismi sul tavolo mancavano di trasparenza, erano ad alta probabilità di violazione dei diritti umani (in particolare indigeni), non davano nemmeno certezze su un’effettiva riduzione delle emissioni, e ovviamente non erano praticamente previsti share of proceeds per adattamento et alia.
Noi come gruppo siamo riusciti a:
- coinvolgere i media, particolarmente interessante è l’attenzione che siamo riusciti ad avere dal principale canale tedesco (soprattutto grazie all’aiuto di due ragazzi tedeschi del gruppo) e uno scambio abbastanza continuo di informazioni e opinioni con una giornalista del London Review of Books;
- fare un’azione (nome che viene dato alle COP alle proteste) ben strutturata, che non è per nulla scontato, sia perchè i negoziati evolvono rapidamente procedendo verso la fine e quindi bisognava stare attenti ai contenuti, sia perchè per organizzare un’azione è necessario richiedere un’autorizzazione almeno 24h in anticipo specificando tutti i dettagli (anche le scritte, cartelli, strumenti usati);
- creare negli ultimi due giorni di negoziati dei position paper di una pagina, suddivisi in i) una parte con richieste specifiche ma non riferite a paragrafi particolare e ii) l’altra parte con raccomandazioni puntuali sul testo (in allegato i due testi sviluppati, ovviamente vanno letti in merito ai draft relativi);
- distribuire i paper di cui sopra a numerosissime delegazioni, facendo lobbying ufficio per ufficio, contattando i delegati per mail e scrivendo direttamente anche su WhatsApp ad alcuni di loro (con cui c’era scambio continuo di informazioni anche sui negoziati a porte chiuse): siamo entrati in contatto anche con alcuni ministeri, e, orgoglio italiano, abbiamo avuto uno scambio informale di una mezz’oretta con Cingolani, che ha letto le nostre proposte e riportate ai negoziatori.
Ha avuto effetto tutto questo?
Sicuramente è servito a noi per comprendere come approcciare giornalisti, la società civile piuttosto che negoziatori, delegazioni e ministeri.
Detto ciò, alcuni risultati pratici ci sono stati, ovviamente però non sapremo mai se e quanto possa essere stato anche grazie alla nostra pressione:
- rispetto al penultimo draft contenente un tasso volontario di cancellazione dei crediti, nella versione finale esso è obbligatorio (al fine di ottenere un OMGE), tuttavia la quota è molto bassa (2%);
- il riferimento ai diritti umani c’è in ogni preambolo dei tre paragrafi (6.2, 6.4, 6.8), nel 6.8 è anche nelle parti operative;
- non ci saranno due mercati separati di crediti, ma uno unico in cui si distinguono le unità in base all’uso finale (towards NDCs piuttosto che Other International Mitigation Purposes);
- le policy e measures non produrranno crediti;
- le attività che ricadono sotto a REDD+ non genereranno crediti;
- sono richieste Corresponding Adjustments per ogni tipo di first credit (tuttavia rimane la poca chiarezza sui crediti non primi);
- è stato inserito un riferimento diretto a un “indipendente grievance process”: questo è forse uno dei pochi punti riconducibili principalmente alla società civile, infatti fino al penultimo draft la supervisione ricadeva sotto al SBSTA, già promotore dei progetti, e dunque non indipendente.
Detto tutto ciò, ci terrei a sottolineare anche l’aspetto emotivo, componente non indifferente delle COP.
Tanta era l’attesa per grandi risultati inizialmente. Sono stati giorni insonni (e aggiungerei anche di fame, saltando ogni giorno almeno pranzo o cena, se non entrambi). È stato molto stimolante e motivante sentirsi parte di un’agire concreto, direzionato e non solo “osservatore”. Nel momento in cui abbiamo letto l’ultimo draft c’è stata molta gioia di vedere nero su bianco alcune richieste fatte, dopo tanti sforzi, per quanto non sapessimo quanto avessimo influito. Grande entusiasmo quindi nel momento in cui Alok Sharma ha ufficialmente approvato l’articolo 6. Tuttavia quel momento è stato anche pieno di amarezza: eravamo consapevoli che quell’articolo, meno peggio di quanto potesse essere, era (ed è) ancora pieno di inadeguatezze e loopholes. E poi il momento di distensione finale, davanti a un drink fuori dalla venue, perchè tutto era finito. E dunque i sentimenti contrastanti il giorno seguente, ovvero ora, dovuti da una parte alla frustrazione di quanto poco si sia ottenuto alla COP26 (ovunque infatti si grida al fallimento) mista a delusione perchè forse avremmo potuto e dovuto fare meglio e di più, ma dall’altra felici di aver contribuito e forse evitato una situazione peggiore.